I giorni dell’isolamento. Sensazioni, riflessioni e congetture all’Hotel i Ginepri

Osservo l’hotel in un suo aspetto del tutto innaturale, non lo conoscevo così. La luce della primavera filtra negli ambienti ancora chiusi e li rende opprimenti. Qui dentro l’aria è pesante, quasi irrespirabile. Allora me ne tengo alla larga il più possibile.

Di solito, con l’ora legale, ogni angolo dell’hotel ritorna alla vita: la voce di Sandra che squilla a tre porte di distanza, il telefono che suona e Giulia che risponde, la playlist sui generis di Mauro in filodiffusione, la macchina per tirare la pasta fresca di Marco, il nostro giardino, l’odore della salsedine nelle giornate ventilate, Pietro con il suo sorriso, i primi clienti che arrivano, i gelati di Massimo.

Intanto i giorni trascorrono e nel frattempo ci siamo lasciati alle spalle la Pasqua. Se chiudo gli occhi riesco ancora a sentire il profumo della colomba calda appena sfornata che un anno fa servivamo come augurio a tutti i nostri clienti. Quella colomba quest’anno l’abbiamo mangiata in famiglia, ma il sapore era diverso. La prima Pasqua in casa e non a lavoro di una vita intera, per me e per i miei genitori.

La mia vita così normale, nella quale prima ogni tanto mi sentivo stretta, ora mi manca come l’aria. Ho nostalgia di tutti quei momenti quotidiani che mi facevano sentire troppo spesso una persona ordinaria, scontenta, talvolta addirittura annoiata. Forse l’isolamento sta servendo proprio a questo. A farci riflettere sull’importanza della libertà e dei piccoli piaceri della vita, come quel profumo di colomba calda di forno.

Nel frattempo il distanziamento sociale prosegue, le mie mani si sono consumate con i troppi lavaggi e il mio corpo abbisogna di riposo, per lo sforzo quotidiano che richiedono la gestione di due figlie piccole sempre intorno, una casa e una famiglia. Il mio compagno, con la sua presenza solida, allevia e solleva umori e stati d’animo: ci tiene per mano. Mentre sono qui a scrivere, tra un pisolino e l’altro, osservo quelle stesse mani che scorrono sulla tastiera e mi domando: quando torneremo alla normalità?

Mi chiedo ogni santo giorno quando potremo finalmente uscire e che cosa faremo in quei primi attimi di ritrovata libertà. La mia Anna dice che non appena potremo varcare la soglia di casa vorrà andare al bar qui all’angolo a comprare un lecca lecca alla fragola e mangiarselo li, seduta ad un tavolino al fresco. E subito dopo vuole andare all’albergo. Per avere poco più di tre anni ha idee e priorità molto chiare.

Mi chiedo anche se questa stagione turistica prima o poi riuscirà a partire. Vorrei avere una sfera di cristallo per poter leggere il futuro, basterebbero poche ma precise informazioni per quietare il mio bisogno di risposte. Purtroppo la chiaroveggenza non abita qui e tutti i dubbi permangono.

Lavorativamente parlando, qualora dovessimo ripartire entro qualche mese, ci aspetterebbe sicuramente una stagione con le mascherine alla mano, anzi alla bocca e con l’ansia maniacale del metro di distanza: tra persone, tra tavoli, tra sedie, tra divani, tra ombrelloni. Servirebbe il metro di distanza anche tra un pensiero e l’altro, per garantire l’incolumità mentale a soggetti come me: mentalmente iperattivi. In questa quarantena infatti sono riuscita a rallentare tutto, tranne la frenesia dei pensieri, quelli viaggiano ancora alla velocità della luce, contrapposti al lento scorrere dei giorni sempre uguali.

Nella mia mente, in fase “di delirio”, si alternano scenari futuri apocalittici, in cui il modello alberghiero non avrà più ragione di essere, in quanto le persone ormai schiave della paura non vorranno più uscire di casa, a pensieri più ragionevoli dove mi interrogo su come il Coronavirus andrà a modificare il nostro lavoro.

Sicuramente lo scampolo di stagione (se mai ci sarà) che ci si prospetta di fronte rappresenterà un momento transitorio e non definitivo, verso un nuovo assetto. Sarà una stagione anomala, appena fuori dalla fase calda dell’emergenza. Una fase di mezzo, tra il prima e il dopo, con tutte le procedure speciali ad essa connesse tra precauzioni e nuove istruzioni per l’uso. Chissà se ci saranno le condizioni per poter lavorare in sicurezza. Chissà se il sistema sarà così veloce a rimettersi in moto da consentire agli hotel di lavorare. Mi chiedo spesso se valga ancora la pena credere in questa stagione. Il mio sesto senso e mezzo è in subbuglio.

I nuovi scenari invece, quelli che prenderanno vita dopo il virus, non si delineeranno prima di un anno almeno. Ed io infatti mi concentro già sul 2021. Punto tutto sul nuovo anno che verrà: all in! Come in una partita di poker.

Pensando all’estate alle porte, mi chiedo innanzitutto se le spiagge riapriranno e subito dopo mi domando se un colpo di tosse improvviso o un bello starnuto, sul bagnasciuga, avranno la capacità di scatenate il panico e il fuggi fuggi generale o se riusciremo a disinnescare, mettendo pian piano da parte la paura.
Mi domando anche come si adatterà la ricettività a tutto questo. Schermi divisori in plexiglas, mascherine, guanti, gel igienizzanti. Tutti questi accessori diventeranno davvero strumenti necessari per il nostro lavoro? Mi sembra impossibile, perché accoglienza va di pari passo con sorrisi, contatto e strette di mano.

Già, le strette di mano, quelle sconosciute. Riprenderemo prima o poi a salutarci così o inizieremo ad inchinarci l’un l’altro come nell’Estremo Oriente? Metteremo da parte la nuova chirurgica mania del lavaggio delle mani? Queste e molte altre domande mi martellano. Una cosa però è certa: dovremo pur riprendere a vivere.

Dopo l’attentato alle Torri Gemelle il mondo è cambiato ma tutti noi abbiamo risposto al cambiamento e siamo riusciti a riprendere in mano le nostre vite e le nostre abitudini. Siamo riusciti a gestire la paura, imparando a convivere con essa. Tutto sommato credo che lo faremo anche dopo il Coronavirus. Servirà del tempo però. Il pianeta dopo tutto questo sarà diverso, ma l’essenza di ognuno di noi resterà e dovrà tornare ad esprimersi in un modo o nell’altro.

Chi ama viaggiare, scoprire, muoversi prima o poi tornerà a farlo. Torneremo ad aggregarci, torneremo ad affollare piazze, spiagge e centri commerciali. Torneremo a goderci una vacanza al mare in famiglia, tra piscine sovraccariche e ombrelloni troppo vicini. Il viaggio è uno stile di vita talmente radicato ed essenziale che riusciremo a mantenerlo, ne sono certa. Il viaggio per molti di noi è una prima necessità, come il cibo e come l’aria che respiriamo.

I nostri colleghi commercianti di zona, per restare a galla si sono già attivati e si è scatenata una vera e propria corsa all’asporto e alle consegne a domicilio. Molti di loro sono già riusciti ad adattarsi e ad adattare la loro attività al Coronavirus. E noi? Cosa possiamo fare per contrastare il virus? Potessimo consegnare camere a domicilio lo faremmo volentieri, purtroppo la faccenda è un attimo più articolata. Noi non ci limitiamo a vendere una camera, facciamo molto di più: offriamo al cliente un’esperienza. Ed ora questo non ci è possibile. E quindi siamo fermi, con la vendita e certo che sì, anche con gli incassi.

Credo però che al momento opportuno sapremo riavvolgere il nostro filo di Arianna, orientandoci negli scenari futuri, certamente a portafoglio sgonfio, almeno all’inizio, ma con tutta la forza per ricominciare. Ognuno di noi ha il mutuo o l’affitto, le tasse, le bollette, le scadenze ma non dobbiamo gettare la spugna. Tutto sommato ci troviamo sulla Terra solo di passaggio e sarebbe bello provare a lasciare un segno facendo quello ci piace.

L’amore per il nostro lavoro dovrà fare da motore per la ripartenza. E la ripartenza sarà senza alcun dubbio la parte più difficile. Oltre allo sforzo economico dovremo affrontare lo sforzo mentale dovuto al cambiamento. Sarà una fase dura, tutta in salita ma sarà anche una fase più consapevole. Mi riprometto di affrontarla con nuova energia, cercando di lamentarmi meno della fatica e degli sforzi e fare di più. Accontentandomi e gioendo di quello che riuscirò a produrre, conciliando il lavoro con la famiglia, e non solo sentendomi costantemente in difetto per non aver fatto abbastanza.

Nel frattempo, ora più che mai, dobbiamo lavorare sui nostri punti di forza. Dobbiamo essere pronti a rilanciarci in un mercato, che dopo questo arresto forzato tornerà, con il tempo, ad essere vigoroso e competitivo. Quindi ripropongo la domanda: Noi dell’hotel i Ginepri cosa possiamo fare in questo momento così delicato? Esserci, possiamo esserci.

Credo che ora come ora questa sia l’unica nostra possibilità. Il nostro obiettivo ora è quello di mantenere un contatto con voi. Comunicare con voi, condividere con voi, tenervi compagnia con foto, ricette, idee, itinerari e riflessioni, cercando di trasmettervi tutta la passione e l’impegno che noi dei Ginepri mettiamo nel nostro lavoro, in attesa di tornare ad accogliervi qui.

Essenza, famiglia, convivialità, accoglienza, presenza, coesione e solidarietà non sono solo parole messe su carta ma rappresentano delle vere opportunità su cui investire guardando al mio futuro personale e lavorativo.

Questo spunto di riflessione me lo ha offerto un mio carissimo amico, ora lontano, che non sto a citare, ma che, se dovesse leggermi, saprà riconoscersi tra le mie righe. Gli dico grazie: ora queste parole le faccio mie, come è mio il ricordo di quel profumo di colomba calda appena sfornata.

Guardo avanti perché ora voltarsi indietro non ha più alcun senso.